Oggi è il compleanno del Papa. Certamente abbiamo pregato per lui. Ho pensato di darvi una sua riflessione molto bella sulla Passione di Gesù proprio oggi che celebriamo la festa dell’Esaltazione della Santa Croce. Si tratta di un discorso tenuto poco meno di un mese fa. Anche questo testo va letto più volte, magari anche a distanza di giorni. Sono certo che potrà darvi luce e consolazione. Il Santo Padre ci dona spunti preziosi per la nostra vita spirituale a partire da una sola frase del Vangelo, quella che Gesù rivolge alle persone che stanno per arrestarlo. È forse il momento più drammatico della vita del Signore.
«Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. III. La Pasqua di Gesù. 4. La consegna. «Chi cercate?» (Gv 18,4).
Oggi ci soffermiamo su una scena che segna l’inizio della passione di Gesù: il momento del suo arresto nell’orto degli Ulivi. L’evangelista Giovanni, con la sua consueta profondità, non ci presenta un Gesù spaventato, che fugge o si nasconde. Al contrario, ci mostra un uomo libero, che si fa avanti e prende la parola, affrontando a viso aperto l’ora in cui si può manifestare la luce dell’amore più grande.“Gesù, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: Chi cercate?” (Gv 18,4). Gesù sa. Tuttavia, decide di non indietreggiare. Si consegna. Non per debolezza, ma per amore. Un amore così pieno, così maturo, da non temere il rifiuto. Gesù non viene preso: si lascia prendere. Non è vittima di un arresto, ma autore di un dono. In questo gesto si incarna una speranza di salvezza per la nostra umanità: sapere che, anche nell’ora più buia, si può restare liberi di amare fino in fondo. Quando Gesù risponde “sono io”, i soldati cadono a terra. Si tratta di un passaggio misterioso, dal momento che questa espressione, nella rivelazione biblica, richiama il nome stesso di Dio: “Io sono”. Gesù rivela che la presenza di Dio si manifesta proprio dove l’umanità sperimenta l’ingiustizia, la paura, la solitudine. Proprio lì, la luce vera è disposta a brillare senza timore di essere sopraffatta dall’avanzare delle tenebre. Nel cuore della notte, quando tutto sembra crollare, Gesù mostra che la speranza cristiana non è evasione, ma decisione. Questo atteggiamento è il frutto di una preghiera profonda in cui non si chiede a Dio di essere risparmiati dalla sofferenza, ma di avere la forza di perseverare nell’amore, consapevoli che la vita liberamente offerta per amore non ci può essere tolta da nessuno.“Se cercate me, lasciate che questi se ne vadano” (Gv 18,8). Nel momento del suo arresto, Gesù non si preoccupa di salvare se stesso: desidera soltanto che i suoi amici possano andarsene liberi. Questo dimostra che il suo sacrificio è un vero atto d’amore. Gesù si lascia prendere e imprigionare dalle guardie solo per poter lasciare in libertà i suoi discepoli. Gesù ha vissuto ogni giorno della sua vita come preparazione a quest’ora drammatica e sublime. Per questo, quando essa arriva, ha la forza di non cercare una via di fuga. Il suo cuore sa bene che perdere la vita per amore non è un fallimento, ma possiede una misteriosa fecondità. Come il chicco di grano che proprio cadendo a terra non rimane solo, ma muore e diventa fruttuoso. Anche Gesù prova turbamento di fronte a un cammino che sembra condurre solo alla morte e alla fine. Ma è ugualmente persuaso che solo una vita perduta per amore, alla fine, si ritrova. In questo consiste la vera speranza: non nel cercare di evitare il dolore, ma nel credere che, anche nel cuore delle sofferenze più ingiuste, si nasconde il germe di una vita nuova. E noi? Quante volte difendiamo la nostra vita, i nostri progetti, le nostre sicurezze, senza accorgerci che, così facendo, restiamo soli. La logica del Vangelo è diversa: solo ciò che si dona fiorisce, solo l’amore che diventa gratuito può riportare fiducia anche là dove tutto sembra perduto.Il Vangelo di Marco ci racconta anche di un giovane che, quando Gesù viene arrestato, scappa via nudo (Mc 14,51). È un’immagine enigmatica, ma profondamente evocativa. Anche noi, nel tentativo di seguire Gesù, viviamo momenti in cui siamo colti alla sprovvista e restiamo spogliati delle nostre certezze. Sono i momenti più difficili, nei quali siamo tentati di abbandonare la via del Vangelo perché l’amore ci sembra un viaggio impossibile. Eppure, sarà proprio un giovane, alla fine del Vangelo, ad annunciare la risurrezione alle donne, non più nudo, ma rivestito di una veste bianca. Questa è la speranza della nostra fede: i nostri peccati e le nostre esitazioni non impediscono a Dio di perdonarci e di restituirci il desiderio di riprendere la nostra sequela, per renderci capaci di donare la vita per gli altri. Cari fratelli e sorelle, impariamo anche noi a consegnarci alla volontà buona del Padre, lasciando che la nostra vita sia una risposta al bene ricevuto. Nella vita non serve avere tutto sotto controllo. Basta scegliere ogni giorno di amare con libertà. È questa la vera speranza: sapere che, anche nel buio della prova, l’amore di Dio ci sostiene e fa maturare in noi il frutto della vita eterna» (LEONE XIV, Udienza generale, 27-8-2025).
Oggi ricordiamo la croce di Gesù, eppure mi pare che al centro del commento del Papa non ci sia la sofferenza del Signore, ma la speranza, la libertà e l’amore. Ecco, credo che così ognuno di noi è chiamato a vivere la propria sofferenza. Non siamo liberi di eliminare, sopprimere la nostra croce, ma possiamo viverla disperandoci oppure, appunto, con speranza e amore. Siccome viviamo in tempi in cui spesso si vive in base alla ricerca spasmodica di risultati da raggiungere (nello studio, nel lavoro, nella politica, nella ricerca scientifica e tecnologica, magari anche nell’impegno pastorale e nella vita affettiva), ecco la frase che mi ha coinvolto maggiormente: «Perdere la vita per amore non è un fallimento, ma possiede una misteriosa fecondità».