Pensiero serale 19-06-2025

Oggi vi propongo il commento di un episodio narrato nel Vangelo secondo Giovanni (5,1-16). Come sempre, spero tanto che leggiate e meditiate prima il brano del Vangelo e solo dopo la riflessione, che davvero mi è sembrata preziosa e potrebbe dare a ciascuno molti spunti per attuare la luce del Signore nella nostra vita.Il Papa ha commentato questo miracolo nel discorso tenuto ieri in occasione dell’Udienza generale. Io mi limito a porgervi solo alcuni passi. Il testo integrale, come al solito, è sul sito della Santa Sede.«Oggi vorrei invitarvi a pensare alle situazioni in cui ci sentiamo “bloccati” e chiusi in un vicolo cieco. A volte ci sembra infatti che sia inutile continuare a sperare; diventiamo rassegnati e non abbiamo più voglia di lottare. […] Quella piscina si chiamava Betzatà, che significa “casa della misericordia”: potrebbe essere un’immagine della Chiesa, dove i malati e i poveri si radunano e dove il Signore viene per guarire e donare speranza.Gesù si rivolge specificamente a un uomo che è paralizzato da ben trentotto anni. Ormai è rassegnato, perché non riesce mai a immergersi nella piscina, quando l’acqua si agita (cfr v. 7). In effetti, quello che ci paralizza, molte volte, è proprio la delusione. Ci sentiamo scoraggiati e rischiamo di cadere nell’accidia.Gesù rivolge a questo paralitico una domanda che può sembrare superflua: “Vuoi guarire?” (v. 6). È invece una domanda necessaria, perché, quando si è bloccati da tanti anni, può venir meno anche la volontà di guarire. A volte preferiamo rimanere nella condizione di malati, costringendo gli altri a prendersi cura di noi. È talvolta anche un pretesto per non decidere cosa fare della nostra vita. Gesù rimanda invece quest’uomo al suo desiderio più vero e profondo.Quest’uomo infatti risponde in modo più articolato alla domanda di Gesù, rivelando la sua visione della vita. Dice anzitutto che non ha nessuno che lo immerga nella piscina: la colpa quindi non è sua, ma degli altri che non si prendono cura di lui. Questo atteggiamento diventa il pretesto per evitare di assumersi le proprie responsabilità. Ma è proprio vero che non aveva nessuno che lo aiutasse? Ecco la risposta illuminante di Sant’Agostino: “Sì, per essere guarito aveva assolutamente bisogno di un uomo, ma di un uomo che fosse anche Dio. […] È venuto dunque l’uomo che era necessario; perché differire ancora la guarigione?”.Il paralitico aggiunge poi che quando prova a immergersi nella piscina c’è sempre qualcuno che arriva prima di lui. Quest’uomo sta esprimendo una visione fatalistica della vita. Pensiamo che le cose ci capitano perché non siamo fortunati, perché il destino ci è avverso. Quest’uomo è scoraggiato. Si sente sconfitto nella lotta della vita.Gesù invece lo aiuta a scoprire che la sua vita è anche nelle sue mani. Lo invita ad alzarsi, a risollevarsi dalla sua situazione cronica, e a prendere la sua barella (cfr v. 8). Quel lettuccio non va lasciato o buttato via: rappresenta il suo passato di malattia, è la sua storia. Fino a quel momento il passato lo ha bloccato; lo ha costretto a giacere come un morto. Ora è lui che può prendere quella barella e portarla dove desidera: può decidere cosa fare della sua storia! Si tratta di camminare, prendendosi la responsabilità di scegliere quale strada percorrere. E questo grazie a Gesù!Carissimi fratelli e sorelle, chiediamo al Signore il dono di capire dove la nostra vita si è bloccata. Proviamo a dare voce al nostro desiderio di guarire. E preghiamo per tutti coloro che si sentono paralizzati, che non vedono vie d’uscita. Chiediamo di tornare ad abitare nel Cuore di Cristo che è la vera casa della misericordia!» (LEONE XIV, Udienza generale, 18-6-2025).Papa Prevost ci ha donato un commento così denso e profondo che mi pare superflua ogni mia aggiunta. Mi limito a evidenziare alcuni punti: per esempio i cenni al desiderio, alla speranza o al contrario all’accidia, alla rassegnazione e al fatalismo. Da buon agostiniano, il Papa ci dona una bellissima citazione del vescovo di Ippona, su cui vi invito a soffermarvi. Sono consapevole che ho bisogno di essere guarito? So prendere coscienza del mio vizio o debolezza dominante? Sono davvero disposto a lasciarmi guarire da Gesù? In parole più semplici, voglio davvero vincere il peccato o la debolezza in cui cado più spesso? Voglio davvero lasciar operare in me l’onnipotente Grazia di Dio?Mi ha sempre colpito molto una frase in questo episodio: «Non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita» (Gv 5,7). Ecco, io penso che questo sia una parrocchia. Ovviamente mi riferisco alla parrocchia che sia vera comunità e non un semplice luogo di distribuzione di certificati e sacramenti (possibilmente a pagamento!).