Commento alla liturgia della Parola tempo di avvento

«Esistono due espressioni simili: “scoperta” e “rivelazione”. In ambedue i casi si tratta di qualcosa che comincia ad apparire, e vediamo ciò che prima non vedevamo. Cristoforo Colombo ha scoperto l’America di cui nessuno sospettava l’esistenza, e non fu un’impresa facile. Quando la tensione sulle navi era al culmine, e i marinari, stanchi, cominciavano a manifestare il loro malcontento, un giovane scoprì, in lontananza, una striscia di terra. Quando si tratta di una “scoperta” siamo attivi: abbiamo cercato e faticato, ed è anche merito nostro se la cosa è apparsa. Ma quando si tratta della “rivelazione” il merito, al contrario, è di colui che rivela. Non possiamo dire che santa Bernadette a Lourdes “abbia scoperto” la Beata Vergine: ebbe piuttosto una “rivelazione”. Nella storia della Chiesa ci sono numerosi casi del genere, ed è interessante che
queste rivelazioni, per lo più, siano date ai bambini, e comunque ai “piccoli”. Quando il vangelo usa questa espressione non si riferisce solo alla giovinezza fisica, ma a ciò di cui essa è immagine: gli occhi limpidi, l’umiltà, la freschezza, la disponibilità a ricevere la verità come dono e l’entusiasmo capace di realizzarla nella vita. Dio non rivela le sue verità per soddisfare la curiosità degli uomini, ma affinché esse siano
semi che crescono nel campo della vita» (TOMÁŠ ŠPIDLÍK, Il Vangelo di ogni giorno, vol. 1, p. 15).

«Quando il Signore trova nella nostra vita una via preparata, diritta, spianata e libera da ostacoli (cf. Is 40,3-4 e Lc 3,4-5), allora può attraversare quello che a noi sembra un deserto sterile, senza vie di speranza, e trasformarlo in un terreno fecondo. Allora questa presenza accolta e desiderata come acqua sorgiva diventa fonte di gioia, e tutto fiorisce: «Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa» (Is 35,1). Tutto ciò che sembrava votato alla morte, riprende vita: viene ridonata la forza di iniziare un nuovo cammino; colui che è «smarrito di cuore» riprende coraggio (cf 35, 4); lo sguardo si apre alla luce, la parola viene ridonata e può essere nuovamente comunicata (cf. 35,5-6). Il passaggio del Signore in una vita che sembrava un deserto, senza strade da percorrere e senza la possibilità di camminare verso la salvezza, può davvero donare gioia e speranza «Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa […] gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto» (35, 8.10).
Ritrovare un sentiero nella vita, avere la forza e la possibilità di seguirlo, vuol dire riacquistare la “gioia di vivere. È ciò che avviene per quel paralitico che incontra la compassione di Gesù (Lc 5,17-26). Aiutato da quattro amici intraprendenti e, coraggiosi, riesce finalmente a fissare i suoi occhi sul volto di Gesù. Lo sguardo di Gesù attraversa la vita di quell’uomo e la sua capacità di guardare le profondità di un’esistenza ferita emerge dalle parole pronunciate sul paralitico, quella parola potente di perdono che salva. Gesù va oltre al male fisico e rivela come il peccato è i il vero fallimento dell’uomo: «Uomo, ti sono perdonati i tuoi peccati›› (5,20). L’uomo viene toccato nel suo essere profondo e invisibile; lì dove si manifesta la reale rottura con Dio; lì dove si nasconde a Colui del quale è immagine; lì dove sperimenta paura, disorientamento, alienazione; Vicino a Gesù, attraverso la sua Parola che è perdono, l’uomo riscopre il suo volto interiore come comunione con Dio. E questo si riflette su tutta l’esistenza, ridandogli la possibilità di agire e di camminare: «Àlzati› e cammina» (5,23). Questo perdono, questa liberazione, questa novità di vita donati da Gesù, sbloccano completamente l’uomo, tutto l’uomo: è una guarigione che riguarda l’integralità della persona
È un ritorno alla vita, ma rinnovato e visibile a tutti. E in questo cammino di ritorno anche i segni della sofferenza sono accolti e portati su di sé in modo diverso. Infatti quell’uomo prende sulle sue spalle il lettuccio che per tanti anni lo aveva tenuto bloccato ed era diventato il segno doloroso della sua impossibilità a vivere pienamente. Questo lettuccio sulle spalle ora gli ricorderà sempre sia il male da cui è stato salvato sia la misericordia che Dio gli ha usato. Il lettuccio è una memoria che custodisce la propria storia sacra, storia di peccato e di salvezza. E deve essere notato che il prendere su di sé il lettuccio fa parte del comando di Gesù: solo attraverso questa parola di Gesù il paralitico guarito ha la forza di prendere su di sé quel segno dì sofferenza. La compassione e il perdono di Dio rimarginano tante ferite nella nostra vita, ma a volte le cicatrici rimangono e, non di rado, fanno ancora sentire il loro dolore. Ma questo non è per prolungare in noi la sofferenza: sono memorie brucianti che ci ricordano quanto siamo fragili, ma anche quanto siamo amati da Dio. Davvero dobbiamo imparare, incoraggiati dalla parola di Gesù, a portare su di noi i segni della sofferenza e del peccato perdonato come memoria della misericordia di Dio» [ADALBERTO PIOVANO, Alzarsi, in Messa e preghiera quotidiana 8 (2015) 11, pp. 73-75].