Oggi voglio esortarvi a meditare alcuni brani dell’omelia pronunciata stamattina dal Papa durante la s. Messa celebrata nella parrocchia di Castel Gandolfo. Egli ha ovviamente commentato la parabola del buon samaritano.«La prima cosa che il brano sottolinea è lo sguardo. […] Lo sguardo fa la differenza, perché esprime ciò che abbiamo nel cuore: si può vedere e passare oltre oppure vedere e sentire compassione. C’è un vedere esteriore, distratto e frettoloso, un guardare facendo finta di non vedere, cioè senza lasciarci toccare e senza farci interpellare dalla situazione; e c’è un vedere, invece, con gli occhi del cuore, con uno sguardo più profondo, con un’empatia che ci fa entrare nella situazione dell’altro, ci fa partecipare interiormente, ci tocca, ci scuote, interroga la nostra vita e la nostra responsabilità».Insomma, siamo esortati a fare un forte esame di coscienza non solo e non tanto sulle nostre azioni alla luce della legge morale, ma soprattutto sul nostro sguardo o meglio sul nostro cuore. Ma poi il Papa ci spinge a riflettere sullo sguardo che ha Dio verso di noi allo scopo che ci lasciamo trasformare gradualmente in Lui. Ecco le parole di papa Prevost:«Il primo sguardo di cui la parabola vuole parlarci è quello che Dio ha avuto verso di noi, perché anche noi impariamo ad avere i suoi stessi occhi, colmi di amore e compassione, gli uni verso gli altri. Il buon samaritano, infatti, è anzitutto immagine di Gesù, il Figlio eterno che il Padre ha inviato nella storia proprio perché ha guardato all’umanità senza passare oltre, con occhi, con cuore, con viscere di commozione e compassione. Come il tale del Vangelo che scendeva da Gerusalemme a Gerico, l’umanità discendeva negli abissi della morte e, ancora oggi, spesso deve fare i conti con l’oscurità del male, con la sofferenza, con la povertà, con l’assurdità della morte; Dio, però, ci ha guardati con compassione, ha voluto fare Lui stesso la nostra strada, è disceso in mezzo a noi e, in Gesù, buon samaritano, è venuto a guarire le nostre ferite, versando su di noi l’olio del suo amore e della sua misericordia. […] Cristo è manifestazione di un Dio compassionevole, credere in Lui e seguirlo come suoi discepoli significa lasciarsi trasformare perché anche noi possiamo avere i suoi stessi sentimenti: un cuore che si commuove, uno sguardo che vede e non passa oltre, due mani che soccorrono e leniscono ferite, le spalle forti che si prendono il carico di chi è nel bisogno. […] Se nell’intimo della nostra vita scopriamo che Cristo, come buon samaritano, ci ama e si prende cura di noi, anche noi siamo sospinti ad amare allo stesso modo e diventeremo compassionevoli come Lui. Guariti e amati da Cristo, diventiamo anche noi segni del suo amore e della sua compassione nel mondo».È evidente che la strada che va da Gerusalemme (750 metri sul livello del mare) verso Gerico (circa 250 metri sotto il livello del mare) è il simbolo al tempo stesso della discesa terribile che spesso l’uomo compie verso il male nelle sue varie forme, ma soprattutto non dimentichiamo mai che Gesù è il samaritano sceso fino ad andare più in basso di noi per poterci abbracciare, risollevare e salvare. In qualche modo, Gesù ci ha mostrato questo, quando si è immerso nel fiume Giordano per il battesimo di Giovanni: era il segno della sua totale solidarietà non solo con noi uomini, ma con noi uomini peccatori; questa solidarietà lo ha poi portato a morire in croce per salvarci; auguro a ognuno di noi di meditare bene su un Amore così grande, possibilmente traendone qualche conseguenza sul piano etico. Ecco ancora le parole del Papa:«Quella strada che da Gerusalemme discende verso Gerico, una città che si trova sotto il livello del mare, è la strada percorsa da tutti coloro che sprofondano nel male, nella sofferenza e nella povertà; è la strada di tante persone appesantite dalle difficoltà o ferite dalle circostanze della vita; è la strada di tutti coloro che “scendono in basso” fino a perdersi e toccare il fondo; ed è la strada di tanti popoli spogliati, derubati e saccheggiati, vittime di sistemi politici oppressivi, di un’economia che li costringe alla povertà, della guerra che uccide i loro sogni e le loro vite. E che cosa facciamo noi? Vediamo e passiamo oltre, oppure ci lasciamo trafiggere il cuore come il samaritano? A volte ci accontentiamo soltanto di fare il nostro dovere o consideriamo nostro prossimo solo chi è della nostra cerchia, chi la pensa come noi, chi ha la stessa nazionalità o religione; ma Gesù capovolge la prospettiva presentandoci un samaritano, uno straniero ed eretico che si fa prossimo di quell’uomo ferito. E ci chiede di fare lo stesso».