Il commento. I figli, le madri e la natura che non mente: cosa ci dice una sentenza (fonte AVVENIRE)

Nato da donna, figlio d’uomo. Ogni bambino che nasce ha di natura una madre e un padre. Figlio del grembo che l’ha partorito e del seme che ha fecondato quel grembo. La natura non mente, la sua verità resta qual è, nella bellezza sapiente d’una vita condivisa e trasmessa in dono. Di lì la natura, ancora lei, vuole “il dovere e il diritto” dei genitori di mantenere, istruire, educare i figli. E la natura, ancora lei, vuole il diritto d’ogni figlio a ricevere quel dono durevole che è la vita nel suo divenire. Ne è lui protagonista: conta il rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni; conta il suo diritto di ricevere mantenimento, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi genitori.
Accade a volte che la verità della generazione nel suo esterno apparire sia celata, altre volte falsata, per negazione o invenzione. Ad esempio è proverbiale dire che “la madre è sempre certa”, ma il parto in anonimato la cancella; il figlio nato da donna coniugata ha per padre il marito, salvo il disconoscimento; il figlio nato fuori dal matrimonio ha per genitore chi lo riconosce. Possono accadere riconoscimenti non veri, disconoscimenti che falliscono, la verità vera può non essere raggiunta neppure nei tribunali. Ma la legge ha bisogno di assicurare a delle “certezze” i diritti del figlio venuto al mondo; anche quando la verità della generazione è nascosta, offuscata, a volte persino falsata. Cercando di non discriminare nessuno, perché nessun figlio ha colpa d’esser nato com’è nato, come altri hanno voluto, nessun figlio è un “clandestino”. E per i figli di nessuno e gli abbandonati ci sono i genitori adottivi; “veri” anch’essi, veri per cuore anche se non per sangue.
Dove natura è stata alterata, la legge deve trovare rimedio. Cerco di leggere così la sentenza n. 68 della Corte costituzionale, che ammette che il figlio concepito all’estero da una donna che ha per compagna un’altra donna intenzionata a condividere la genitorialità, figlio poi partorito in Italia, possa assumere lo status di figlio di entrambe. Si badi: non è in gioco l’aspirazione alla genitorialità omosessuale (preclusa, come già detto nella sentenza 221 del 2019) ma l’interesse del figlio a ottenere l’adempimento dei doveri genitoriali. È chiaro che “due madri” non è secondo natura. Ma che l’abuso renda il figlio un abusivo no: non lui, non giova a lui mutilare la relazione legale alla sola metà reale. Resta fermo che in Italia la procreazione omosessuale non si fa e non si può fare. Ma se fatta in Paese dove è ammessa secondo le leggi locali, la soluzione adottata per la sorte del figlio che poi nasce in Italia sembra cercare una sorta di “giustizia del giorno dopo”. La qual cosa resta un rimedio, non un assecondamento della condotta, che nel nostro diritto non è ammessa.
Del resto, che non tutto sia ammissibile al desiderio, nella più intima delle relazioni umane qual è la trasmissione della vita, in cui la procreazione artificiale ha introdotto margini spinosi di grovigli umani, è confermato dalla sentenza n. 69 della Corte, uscita nel medesimo giorno. Dice che escludere dalla procreazione assistita chi è “single” è legittimo, e non vìola la Costituzione. Spiega che è per interesse del figlio la norma di non avallare un progetto che esclude a priori la figura del padre. Un progetto di figlio orfano non è nella natura di famiglia. Aggiunge tuttavia che di per sé la legge potrebbe anche essere cambiata; e ciò finisce per indebolire la visione di quei diritti del figlio, proiettati in possibili contesti para-familiari.
Alcuni passaggi delle due sentenze, come il tema della idoneità genitoriale omosessuale, o quello del panorama familiare “liquido” in mutevole assortimento, inducono approfondimenti anche critici. Ma il nocciolo è chiaro: e in questo tempo confuso, dove il desiderio si fa diritto, riflettere su queste sentenze è un atto di responsabilità. Esiste infatti una responsabilità anche verso chi non c’è ancora, ma verrà, ha insegnato Hans Jonas. Il figlio che chiamiamo al mondo “per noi” vale in primis per se stesso; ha in sé, di per sé solo, una dignità che ci trascende. Un fine, non un mezzo, ha insegnato Kant. E nella cultura giuridica contemporanea il principio guida del “migliore interesse del minore” appare dominante. Così l’odierna lettura delle due sentenze chiede di allineare il desiderio anzitutto con ciò che la natura ha inscritto nei nostri corpi e nelle nostre relazioni di vita. Ma se la natura viene elusa, resta pur sempre il dovere di non mutilare ulteriormente il bambino: il bene che resta possibile in una situazione segnata da una ferita alla natura può non essere una resa, ma una resilienza.


Fonte: https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/i-figli-le-madri-e-la-natura-che-non-mente-cosa-ci-dice-una-sentenza