Pensiero serale 02-06-2025

Dopo i giorni scorsi, in cui vi ho invitati a meditare sulla Visitazione della Beata Vergine Maria e a rivolgervi al Sacro Cuore, stasera ritengo molto importante meditare ancora sul grande evento dell’Ascensione, con il consueto commento di don Fabio.«Questa domenica vediamo il Signore Gesù ascendere al Padre e contempliamo che la meta del Signore risorto non è dalle nostre parti, ma in cielo.Cosa c’è oltre la morte? Il Padre celeste. Cristo, infatti, non risuscita per riprendere a vivere e basta, ma per portare a compimento il cammino della vita umana che Lui ha assunto e portarla al Padre.Tale è la meta dell’umanità e, a ben vedere, questo indica che la nostra destinazione non è propriamente un luogo, ma una relazione.E ciò lo si può assaggiare già in questa vita, ogni volta che ci lasciamo slegare dalla nostra auto-assolutizzazione e ci apriamo a una vita da figli di Dio. In quei momenti entriamo nell’amore e sfoderiamo la nostra bellezza più autentica.È vitale, quindi, valutare le cose alla luce di quella gioiosa meta. Vivere con saggezza significa accogliere un principio di selezione: ciò che non mira al paradiso ha poco valore, va trascurato.Possiamo chiederci: cosa significa vivere la vita come un viaggio verso il Padre? Nel testo di questa domenica Gesù dà ai suoi discepoli delle indicazioni: “Restate in città, non siate rivestiti di potenza dall’alto”.Accogliamo queste istruzioni anche per noi oggi: la “città” diviene il luogo della comunità cristiana, il luogo dei sacramenti, nella Nuova Gerusalemme, nell’assemblea liturgica.Il Signore si manifesta nella liturgia della Chiesa, se “restiamo” in questa assemblea, lì dove riceviamo la nuova veste che scende dall’alto, lo Spirito Santo.L’immagine dell’essere rivestiti ha origine nella Genesi: Adamo pecca e rompe la sua relazione con Dio e si rende conto di essere nudo, perché dubita dell’abbraccio paterno di Dio e si sente esposto e fragile. E cosa fa? Prende le cose della terra, le foglie dagli alberi, per coprirsi. Ma questo non gli dà il coraggio di affrontare lo sguardo di quel Dio di cui non si fida più.Noi ci vestiamo con le cose della terra, con la vanagloria, i successi, i progetti. E per quanto cerchiamo di vestirci, restiamo incompleti ed incerti. Ma l’umanità riceve in Cristo un nuovo indumento, una nuova veste, un nuovo ruolo. Di che cosa è vestito un figlio di Dio? Della provvidenza di Dio. Il Vangelo di Matteo dice: “Non preoccupatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Il Padre vostro celeste, intatti, sa che ne avete bisogno”. La veste celeste, in altre parole, è la relazione con il Padre. Un’indole di figli che è lo Spirito Santo.Altro è cercare di affrontare la realtà con le nostre capacità, i nostri tempi, le nostre tecniche di sopravvivenza, e altro è consegnare al Padre, momento per momento, la nostra vita.Così questi giorni divengono il tempo per desiderare dl spogliarci dell’abito terrestre e di essere rivestiti dall’alto, nella Pentecoste. Ascendere con Cristo verso il Padre per la potenza dello Spirito Santo lo si fa “rimanendo” nella città, nella comunità cristiana, nelle cose di Dio. A quel punto non si è più di quaggiù, si vive “come in cielo così in terra”» (ROSINI FABIO, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’anno liturgico C, San Paolo, Cinisello Balsamo 2024, pp. 119-121).Mi sembra che ci siano tre punti importanti.Io sto impegnando i miei giorni, i miei sforzi in vista di quale meta? Confronto i miei obiettivi con l’Ascensione di Gesù?Che significa “consegnare al Padre la propria vita”? Ovviamente non serve una risposta accademica, teorica, ma conta l’impegno per concretizzare davvero tale consegna.Adamo cerca di rivestirsi a modo suo. E io come mi vesto? Pensiamo alla veste del Battesimo. Vi segnalo (ovviamente per chi vuole approfondire) qualche passo biblico su questo argomento: Gen 3,7.21; Mt 22,11-13; Lc 15,22; Gv 19,23, Gal 3,27; Col 3,12-14.