Il commento di don Fabio al Vangelo di questa domenica (Gv 21,1-19) va ben meditato. Io mi limito a sottolineare due aspetti: il lasciare veramente a Dio l’iniziativa nella nostra vita e la chiamata all’intimità con Lui. La chiave di tutto è l’umiltà.«Il capitolo 21 di Giovanni narra l’avventura della Chiesa dopo la risurrezione di Cristo in modo simbolico e profondo.Simon Pietro va a pescare con i suoi fratelli; questo è un segno della chiamata a pescare/evangelizzare, ma stavolta la cosa non va bene e non si pesca nulla.Che la Chiesa giri a vuoto, non ingrani e non sia incisiva è capitato e capita in ogni epoca. Ma come mai?Il testo affronta proprio questo, raccontando di quando il Signore risorto appare ma non è riconosciuto. Ciò non è legato ad una sua inaccessibilità ma all’ottusità dei discepoli che «non si erano accorti che era Gesù».Allora il Signore irrompe con una domanda: “Figlioli, non avete nulla da mangiare?”, costringendoli a riconoscere che le cose non vanno. Ottenuta l’ammissione del fallimento, fornisce la soluzione: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. Dietro questa indicazione c’è una miniera di significati – come sempre in Giovanni – ma al livello più elementare c’è semplicemente l’indicazione di pescare in un altro modo, secondo la parola di un Altro e non a partire dalla propria iniziativa, come appare nella frase di Pietro in apertura.Seguendo l’indicazione dello sconosciuto di colpo le cose funzionano e si passa dai risultati striminziti alle moltitudini – questo è ciò che successe alla prima Chiesa, quando smise di accanirsi solo sui figli di Abramo e si aprì alle folle pagane; allora le reti della Chiesa si riempirono straordinariamente e tutti noi siamo entrati nell’eredità del Messia d’Israele proprio perché Pietro e i suoi fratelli smisero di pescare in modo stantio e si aprirono al nuovo.E cosi arriva il conseguente pasto condiviso, che è la ritrovata intimità con il Signore – immagine della liturgia eucaristica dove si incontra il Risorto.Ma non basta: la Chiesa deve sempre guarire, e Pietro, che la rappresenta, deve dichiarare il suo amore al suo Signore che gli chiede tre volte di manifestarlo, perché tre volte lo aveva rinnegato. E compare la tristezza di Pietro, che è la dolorosa liberazione dall’errore fatto, è l’estraneità all’atteggiamento saccente che lo aveva portato al naufragio del tradimento. Infatti aveva ripetuto il suo solito errore: era partito da sé stesso – l’iniziale “Io vado a pescare” simile a quel “Darò la mia vita per te!” che aveva preparato il suo rinnegamento.È proprio qui il punto: Pietro darà veramente la vita per Cristo, dopo aver imparato a non iniziare da sé ma a gettare le reti secondo la parola del suo Signore, a vivere lasciandosi portare dove lui non vuole, fuori dalla schiavitù del proprio ego, con una veste nuova, e come gli dice alla fine Gesù, seguendolo.Questa è una parola per tutti i cristiani: finché si continua a partire dalla propria volontà i risultati saranno ridicoli, come quelle reti vuote.Urge tornare costantemente a pescare sulla sua parola, con la consapevolezza dei propri fallimenti. Così si ri-inizia a seguire il Signore sul serio. E arriva tanto frutto» (ROSINI FABIO, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’anno liturgico C, San Paolo, Cinisello Balsamo 2024, pp. 107-109).