Pensiero serale 05-11-2024

Come vivono i coniugi dopo la morte? Mi rendo conto che è un tema delicato e misterioso. La risposta la troviamo in Mt 22,23-32 (la discussione di Gesù con i Sadducei, commentata stupendamente da san Giovanni Paolo II nei discorsi pronunciati nel corso delle Udienze generali svoltesi dall’11 novembre 1981 al 13 gennaio 1982, nell’ambito della “Teologia del corpo”).

Forse ancora più complesso è riflettere sul rapporto tra i due coniugi quando uno è ancora sulla terra e l’altro l’ha preceduto nell’altra vita. Mi rendo conto che è un tema molto doloroso. So bene che è lecito il matrimonio delle persone vedove (forse non tutti conoscono il pensiero di san Paolo in 1 Tm 5,3-16), ma ritengo che sia importante trattare questo tema soprattutto nel mese di novembre e in particolare perché il prossimo Giubileo sarà caratterizzato dal tema della speranza. 

Perciò stasera vi propongo un discorso pronunciato quasi 70 anni fa da un Papa forse oggi poco considerato, ma che io invece stimo moltissimo: Eugenio Pacelli, diventato Sommo Pontefice col nome di Pio XII.

Ecco il discorso che vi invito a meditare in un profondo clima di preghiera alla luce di Ef 5, 21-33. Addirittura si parla di perfezionamento del vincolo coniugale quando muore uno dei coniugi.

 

«Benché la Chiesa non condanni le seconde nozze, essa esprime la sua predilezione per le anime che vogliono restare fedeli ai loro sposi, e al simbolismo perfetto del sacramento del matrimonio. Essa gioisce vedendo coltivare le ricchezze spirituali proprie a tale stato. La prima di tutte, Ci sembra, è la convinzione vissuta che, lungi dal distruggere i legami d’amore umano e soprannaturale contratti con il matrimonio, la morte può perfezionarli e rafforzarli. Senza dubbio, sul piano puramente giuridico e su quello delle realtà sensibili, l’istituzione matrimoniale non esiste più; ma ciò che ne costituiva l’anima, ciò che le conferiva vigore e bellezza, l’amore coniugale con tutto il suo splendore e i suoi voti di eternità, sussiste, come sussistono gli esseri spirituali e liberi che si sono votati l’uno all’altro. Quando uno dei coniugi, liberato dal legami carnali, entra nella intimità divina, Dio lo libera da ogni debolezza e da tutte le scorie dell’egoismo; egli invita altresì quegli che è rimasto sulla terra a mettersi in una disposizione di anima più pura e più spirituale. Poiché uno degli sposi ha consumato il suo sacrificio, non è forse necessario che l’altro accetti di staccarsi dalla terra e di rinunciare alle gioie intense, ma fugaci, dell’affetto sensibile e carnale, che legava lo sposo al focolare e impegnava il suo cuore e le sue energie? Con l’accettazione della croce, della separazione, della rinuncia alla cara presenza, bisogna conquistare un’altra presenza, più intima, più profonda, più forte. Una presenza che sarà anche purificatrice; poiché colui, che vede Dio faccia a faccia, non tollera in coloro che egli ha amato di più durante la sua vita terrestre, il ripiegamento su se stessi, lo scoraggiamento, gli attaccamenti inconsistenti. Se già il sacramento del matrimonio, simbolo dell’amore redentivo di Cristo verso la sua Chiesa, applica allo sposo e alla sposa la realtà di questo amore, li trasfigura, li rende simili l’uno a Cristo, che si dona per salvare l’umanità, l’altra alla Chiesa redenta, che accetta di partecipare al sacrificio di Cristo; allora la vedovanza diviene in qualche modo il compimento di questa mutua consacrazione; essa raffigura la vita presente della Chiesa militante privata della visione del suo Sposo celeste, al quale tuttavia resta indefettibilmente unita, avanzando verso di lui nella fede e nella speranza, vivendo di questo amore che la sostiene in tutte le prove, e aspettando impazientemente l’adempimento definitivo delle promesse iniziali. Tale è la grandezza della vedovanza, quando essa è vissuta come il prolungamento delle grazie del matrimonio e come la preparazione del loro dischiudersi nella luce di Dio» (PIO XII, Discorso “Nous accueillons” ai partecipanti alle Giornate Internazionali sulla famiglia, promosse dall’Unione Internazionale degli Organismi Familiari, 16 settembre 1957).

 

Credo che questo testo ci aiuti a verificare la profondità della nostra fede. È bene riflettere anche sulla realtà del Purgatorio e sulla bellezza del Paradiso. Temo che pochi coniugi si sposano tenendo presente l’analogia del rapporto “Cristo-Chiesa / marito- moglie”.

Mi rendo conto che in tempi in cui tanti uomini di Chiesa dubitano sull’indissolubilità del vincolo matrimoniale (e ciò poi porta alla confusione attuale sui sacramenti da dare ai divorziati risposati o conviventi) parlare di rapporto che prosegue tra i coniugi anche dopo la morte di uno di loro possa essere visto quasi come una provocazione. Ebbene, io sono certo che meditare con fede e pacatezza sulla morte, sui quattro Novissimi (che forse molti addirittura ignorano; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica § 988 e ss.) sia un prezioso aiuto per vivere meglio qui sulla terra.

Stasera prego perché alcune persone, che leggono i miei pensieri senza condividerli con i loro sposi (o spose), si decidano a vivere in modo più profondo la loro spiritualità di coppia e leggano queste riflessioni pregando con il coniuge.