Stasera ho pensato di offrirvi il commento al brano del Vangelo della s. Messa di ieri (Gv 6,44-51). Padre Vanhoye ci aiuta a cogliere alcuni aspetti di questo passo, che corriamo il rischio di trascurare, ma che, invece, sono davvero preziosi per la nostra vita. Mi limito a qualche esempio.
Che voleva dire Gesù affermando: “Tutti saranno istruiti da Dio” (Gv 6,45)? Probabilmente è un riferimento a Ger 31,33-34. Ma che significa che Dio mi istruisce? In che modo lo fa?
Inoltre, padre Vanhoye fa un collegamento molto interessante col grande tema della libertà.
«All’inizio del brano evangelico di oggi Gesù dice: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato”. Questa frase esprime un duplice movimento: il Padre manda Gesù; il Padre attira gli uomini verso Gesù. Sono due movimenti che producono un incontro, e il Padre ha l’iniziativa in entrambi. Così Gesù ci rivela che ciò che c’è di più profondo in noi è la nostra relazione con il Padre, e che anche la nostra relazione con Gesù sarebbe superficiale e irreale se non fosse fondata sul nostro intimo rapporto con il Padre.
Gesù suscita in noi il desiderio di essere docili a Dio e di essere istruiti da lui: “Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio”. Questa relazione con Dio è la fonte della nostra felicità, eppure tante persone non lo capiscono. Quando si parla di docilità a Dio, tanti provano un senso di avversione, perché pensano che Dio li privi della loro libertà. In realtà non è così, perché Dio rende veramente libero chi è docile a lui. E questa docilità, che è una grande grazia divina, è la condizione per andare verso Gesù: bisogna ascoltare gli insegnamenti del Padre per essere attirati verso Gesù. “Chiunque ha ascoltato il Padre – dice Gesù – e ha imparato da lui, viene a me”.
Queste parole di Gesù possono essere illustrate con un brano del Discorso della montagna, in cui egli parla della preghiera, del digiuno, dell’elemosina e ci invita a non dare ascolto alla nostra natura che ci inclina a cercare il nostro interesse e la lode degli uomini: “Quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti […] per essere lodati dalla gente. Quando pregate, non siate simili agli ipocriti, che […] amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente […]. Quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano”. Gesù invece ci invita a compiere queste azioni davanti a Dio, in un’intima obbedienza a lui: “Mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta […]. Quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo nel segreto […]. Quando tu digiuni, profumati la testa e lavati il volto [. . .] e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,1-18).
Compiere tutte le azioni nella docilità al Padre è ciò che i trattati di vita spirituale chiamano “rettitudine di intenzione”. Gesù ci fa capire che dobbiamo essere docili a Dio senza cercare il nostro interesse, cioè la soddisfazione della nostra vanità, del nostro egoismo o di altre tendenze troppo umane. Dobbiamo desiderare semplicemente di ascoltare Dio che parla nel nostro cuore, e mettere in pratica ciò che egli ci suggerisce, sapendo che così cresceremo nel vero amore.
Operando in noi, il Padre suscita nei nostri cuori gli stessi sentimenti di Gesù, e così rende possibile il nostro incontro con Gesù. Il Padre ci attira nella direzione in cui si trova Gesù: ci insegna a vivere nell’amore generoso. In questo modo ci fa capire il significato della passione e della risurrezione di Gesù, cioè che la passione è stata un grande gesto di amore, e che la risurrezione è stato il risultato divino di tale gesto.
Chiediamo gli uni per gli altri di vivere nella relazione con Dio, senza voler cercare altrove soddisfazioni superficiali. Chiediamo di essere veramente istruiti da Dio e di trarre profitto dal suo insegnamento. I profeti hanno annunciato che negli ultimi tempi ci sarebbe stata una conoscenza piena di Dio (“la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare”, Is 11,9); e quando essi parlano di conoscenza di Dio, non intendono una conoscenza astratta – come il sapere che Dio esiste – ma un rapporto personale di amore con Dio» (VANHOYE ALBERT, Il pane quotidiano della Parola, volume I – Tempi forti, Edizioni AdP, Roma 2014, pp. 184-186).
Meditando questo commento, ho pensato che ci aiuta anche a riflettere sul Vangelo di domenica prossima (Gv 10,27-30): la docilità è ciò che deve caratterizzare la pecora verso il pastore.
Se rifiuto di essere istruito da Dio, ovviamente c’è il rischio dell’ignoranza (molti pensano che sia un’attenuante, io invece penso spesso al dramma della coscienza erronea e a Lc 23,34).
Soprattutto siamo invitati a meditare su cosa significa incontro con Dio (a questo tema sono molto legato perché ne parlò papa Benedetto XVI all’inizio della sua prima enciclica: la “Deus caritas est” e ne aveva già parlato Giovanni Paolo II all’inizio del discorso tenuto a Palermo il 23 novembre 1995).
Che significa “essere attirati”?
Forse il punto che più mi ha colpito è il riferimento alla fede. Molti pensano che avere fede significhi credere che Dio esiste (io non sono per niente d’accordo); infatti, il biblista francese ovviamente dice ben altro.
Infine, è davvero bellissimo e molto profondo il collegamento col tema decisivo della rettitudine di intenzione, che è al centro del Vangelo che viene proclamato il Mercoledì delle Ceneri (Mt 6,1-18).