Il brano del Vangelo di oggi (Gv 8,51-59) non è certo tra i più facili. È comunque una conferma che del Nuovo Testamento (e della stessa Pasqua di Gesù) non è possibile capire quasi nulla senza una profonda conoscenza dell’Antico Testamento. Proprio perché non è facile cogliere il profondo rapporto che lega Abramo e Gesù, ritengo prezioso il commento di Vanhoye che oggi vi spedisco.«Nel Vangelo, Gesù dice ai Giudei: “Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia”. Anche noi, in questo tempo di preparazione alla Pasqua, siamo chiamati a vedere il giorno di Gesù e a essere pieni di gioia.Che cosa significa la frase “Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno”? Il giorno di Gesù è il giorno della sua risurrezione, e Abramo lo ha visto. Ovviamente lo ha visto come prefigurazione, cioè partecipando a eventi che facevano intravedere il disegno divino di risuscitare Gesù.Due sono gli avvenimenti nei quali egli ha potuto “vedere” la risurrezione di Gesù: la nascita di Isacco, e il suo sacrificio.La nascita di Isacco è considerata da Paolo come una vittoria sulla morte: “Egli [Abramo] non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo ~ aveva circa cento anni – e morto il seno di Sara” (Rm 4,19). Abramo ha creduto nel Dio che risuscita i morti. Così, per la sua fede nella promessa di Dio che è capace di vincere il potere della morte, egli ha ottenuto la nascita di Isacco. Questa è stata per lui un’esperienza di risurrezione, ed egli “fu pieno di gioia”. Con queste parole Gesù allude al nome stesso “Isacco”, che in ebraico significa “egli ha riso”. Nelle tradizioni su Isacco, sono frequenti i riferimenti a questo significato del nome. Abramo dunque, per la sua fede, ha già partecipato alla vittoria di Gesù sulla morte e se ne è rallegrato.Il secondo avvenimento nel quale Abramo ha visto in anticipo l’annuncio della risurrezione di Gesù è il sacrificio di Isacco, che è stato anch’esso una vittoria sulla morte (cf. Gen 22,1-19). Il patriarca offre in sacrificio il proprio figlio, quel figlio attraverso il quale Dio gli ha promesso di benedirlo e di renderlo benedizione per tutti i popoli. Se Isacco scompare, questa promessa di Dio diventa vana, sembra smentita. Ma Abramo ha fede in Dio e, quando il figlio gli chiede: “Dov’è l’agnello per l’olocausto?”, gli risponde: “Dio provvederà”. Abramo crede che Dio troverà il modo di procurare la vittima per il sacrificio, senza che ciò comporti la morte di Isacco. E Isacco effettivamente ritornerà vivo dal monte: è stato sacrificato, in un certo senso, ed è rimasto vivo, diventando così figura della risurrezione di Gesù.Ovviamente questa prefigurazione della resurrezione di Gesù, come tutte altre prefigurazioni, è imperfetta: Isacco non ha realmente vinto la morte, perché non è stato realmente sacrificato. Ma in questo avvenimento Abramo ha potuto già “vedere” il giorno del reale sacrificio di Gesù, premessa della risurrezione a una vita più bella e perfetta. L’ha visto e ne ha gioito. E come ricompensa della sua fede, Dio gli rinnova la promessa della fecondità, della terra e dell’alleanza perenne.Anche noi siamo chiamati ad avere fede nella risurrezione di Gesù, a vincere continuamente le forze della morte, e a rallegrarci perché la vittoria di Gesù diventerà anche la nostra vittoria. Questo è vero per la nostra stessa morte, che possiamo vincere fin da ora offrendola come partecipazione alla morte di Gesù; ma è vero anche per ogni momento della nostra vita, in cui possiamo essere vittoriosi sulle forze di morte, cioè su tutto ciò che ci spinge al pessimismo, alla delusione, allo scoraggiamento, in una parola, a cedere davanti alle difficoltà. Allora, come Abramo, anche noi dobbiamo avere fede nella risurrezione. Nessuna difficoltà è stata più grande di quella della croce di Gesù, ma egli l’ha superata e ora ci dice: “abbiate coraggio: io ho vinto il mondo” (Gv 16,33).Cerchiamo allora di avere sempre davanti agli occhi questa splendida vittoria di Gesù, di “vedere” la sua risurrezione e di gioirne, per poterne poi gioire quando ne saremo pienamente partecipi» (VANHOYE ALBERT, Il pane quotidiano della Parola, volume I – Tempi forti, Edizioni AdP, Roma 2014, pp. 136-138).È molto importante cogliere la certezza che Gesù con la sua risurrezione non ci dà solo la sicurezza della vita dopo la morte, ma anche la speranza, la serenità per affrontare le mille difficoltà della vita quotidiana. Auguro a tutti di progredire nella immensa gratitudine verso Gesù per la luminosa speranza che ci dona.Non dimentichiamo che lo stupendo episodio di Gen 22 è inserito nella Veglia Pasquale. Sono sempre più sicuro che la famosa frase “Finché c’è vita c’è speranza” è comprensibile magari dinanzi a tanta sofferenza e alle malattie, ma è anche espressione di triste stoltezza e di buio ateismo. È vero, invece, l’inverso: “Finché c’è speranza c’è vita”. Senza una profonda speranza cristiana (che non è frutto di un sforzo umano, ma è puro dono di Dio) la vita perde completamente di senso e soprattutto ci si limita a una vita ridotta alla dimensione biologica e all’orizzonte solo terreno. Gesù ci spalanca mete e orizzonti ben diversi e luminosi.