Pensiero serale 14-07-2025

La parabola, che abbiamo ascoltato ieri, è particolarmente importante, perché ci spinge a vivere l’aspetto decisivo del Vangelo e della vita di ciascuno di noi. Ecco il commento di don Fabio.«È importante non leggere la parabola del buon samaritano in termini sentimentali.Un uomo viene derubato e picchiato sulla strada di Gerico. Mentre giace mezzo morto sulla strada, un sacerdote che passa lo vede e va oltre senza fermarsi a soccorrerlo. Passa anche un levita e fa la stessa cosa.Proviamo disgusto per questi atteggiamenti, ma come mai i due consacrati si sono rifiutati di aiutare il povero uomo? Bisogna sapere che per sacerdoti e leviti era assolutamente vietato toccare il sangue. Per l’ebraismo la vita risiede nel sangue e lo spargimento del sangue rappresenta la morte. La Legge (Lv 21-22) afferma che un consacrato di Dio non deve avere nulla a che fare con la morte e col sangue. I due personaggi sono legati ai loro obblighi verso la legge e se avessero toccato quell’uomo non avrebbero più potuto celebrare il culto se non prima di aver fatto una complicata trafila di riti di purificazione. Sarebbero stati incompatibili con il Tempio e i suoi sacrifici. E questo è impressionante: le leggi religiose impedivano ai due uomini di soccorrere quel poveretto.Ma chi è questo uomo mezzo morto? I Padri sottolineano che questo individuo scende da Gerusalemme – la città santa – a Gerico – la città distrutta e maledetta da Giosuè che non avrebbe più dovuto essere ricostruita, e che viene riedificata a prezzo di sacrifici umani (come è raccontato da 1 Re 16,34). Le due città sono il simbolo del cielo e degli inferi.Questo uomo è l’umanità che perde il cielo per i suoi peccati e cammina verso gli inferi, e nel suo cammino viene distrutto dai nemici della natura umana.La legge, le regole, non lo possono salvare ma solo vederlo e riconoscerlo morto.La legge non può fare altro che emettere una diagnosi. Può affermare “quel che hai fatto è sbagliato”, ma non può salvare. La legge non perdona, la legge definisce e basta. Ma Gesù sta raccontando questa parabola a un dottore della legge che fa cavilli e cerca giustificazioni.Allora entra in scena un samaritano. I samaritani, per gli ebrei, erano eretici, che avevano distorto la legge. Ci vuole un samaritano per salvare l’uomo, ossia un irregolare che si sporchi con il suo sangue – facendosi impuro per curarlo.Per curare l’umanità bisogna obbedire alla regola che trascende ogni legge: l’amore, che è il pieno compimento della legge, come dice san Paolo.Infatti le regole – osservate per sentirsi “a posto” come il dottore della legge – diventano gabbie che impediscono di amare.Il Samaritano non si preoccupa dei sacrifici da celebrare, ma ha vino e olio per curare questo sofferente – che poi la Chiesa userà nei sacramenti.Ci vuole una locanda dove il Samaritano possa portare gli uomini e le donne feriti di ogni generazione. La locanda è la comunità cristiana a cui Cristo, puro per gli impuri, affida l’umanità ferita, perché se ne possa prendere cura. E al suo ritorno porterà la sua ricompensa.Tornerà questo Samaritano e ci darà il “di più” che abbiamo speso. E ci darà il Cielo» (ROSINI FABIO, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’anno liturgico C, San Paolo, Cinisello Balsamo 2024, pp. 150-152).Vi offro qualche spunto per approfondire ulteriormente. Il dottore della legge gradiva che Gesù gli segnalasse qualche limite che lo aiutasse a non considerare proprio ogni uomo come suo prossimo. Anche io forse corro questo rischio oppure ho capito che sono chiamato ad amare ognuno, a prescindere dalle sue qualità o difetti? Ovviamente non sono obbligato a vivere così, ma posso considerarmi discepolo di Gesù, se metto da parte una parabola così importante? E poi dovrei tener conto del fatto che il giudizio finale verterà proprio su come vivo l’insegnamento di questa pagina del Vangelo.Domani spero di tornare su questi temi, magari aiutato da qualche vostra domanda o commento.