Pensiero serale 22-05-2024

Stasera non posso non condividere con voi una preghiera a santa Rita, anche se sono sicuro che molti oggi l’avranno già recitata.

 

O cara Santa Rita, nostra Patrona anche nei casi impossibili e Avvocata nei casi disperati, fate che Dio mi liberi dalla mia presente afflizione……., e allontani l’ansietà, che preme così forte sopra il mio cuore. Per l’angoscia, che voi sperimentaste in tante simili occasioni, abbiate compassione della mia persona a voi devota, che confidentemente domanda il vostro intervento presso il Divin Cuore del nostro Gesù Crocifisso. O cara Santa Rita, guidate le mie intenzioni in queste mie umili preghiere e ferventi desideri. Emendando la mia passata vita peccatrice e ottenendo il perdono di tutti i miei peccati, ho la dolce speranza di godere un giorno Dio in paradiso insieme con voi per tutta l’eternità. Così sia. 

Santa Rita, patrona dei casi disperati, pregate per noi. 

Santa Rita, avvocata dei casi impossibili, intercedete per noi.

 

 

In precedenza vi ho spedito più volte riflessioni di monsignor Aiello. Ora vi do il suo commento al brano del Vangelo di oggi (Mc 9,38-40). È particolarmente attuale e concreto (mi sembra quasi di vedere il suo sorriso in così soave ironia!).

 

«Il contarsi è la malattia di sempre che contagia ogni gruppo, associazione, consesso umano dove gli eletti fanno capannello tra loro impedendo agli altri di avvicinarsi, e permettendolo solo dopo tanto bussare e un lungo noviziato. È paradossale come questo atteggiamento sia presente nelle nostre parrocchie e nei gruppi ecclesiali che, da lievito per la massa, finiscono con innalzare barricate e ostruire le porte delle nostre chiese impedendo ai lontani, anche solo ai curiosi, di avvicinarsi. Anche il chierichetto che suona il campanello o la signora che lava i sacri lini, il senatore dei ministranti o l’anziana che intona il rosario, chi ha il compito di distribuire i foglietti o di indicare la pagina e il numero del canto, finiscono con il ritenere il servizio che svolgono come un privilegio da condividere con altri ben gerarchizzati; e magari da trasmettere in eredità a figli e nipoti, con scene di gelosia se il parroco, una tantum, affida quel compito ad un altro. Siamo ancora chiusi nel criterio di esclusione, mentre papa Francesco ci tempesta con messaggi sull’apertura e sull’essere aperti a 360 gradi. In noi e nei nostri amici, nei nostri collaboratori si è più inclini ad accogliere o a mettere alla porta? Gesù nel vangelo continuamente, a fronte di chiusure e settorializzazioni, crea scompiglio accogliendo e dialogando con chi è marginalizzato o già inserito nella lista dei peccatori. Come è possibile che la nostra presunta virtù debba innalzarsi sulla pedana dei vizi degli altri? Come mai tendiamo a chiudere anziché ad aprire? Con la sua risposta il Maestro mi indica anche una visione più ottimista della realtà, dove la grazia opera, con solennità, attraverso i canali ufficiali, ma silenziosamente procede anche in viottoli sconosciuti. Chiedo l’apertura di cuore e lo sguardo che sappia percepire la grazia operante, sempre, dovunque e in modo misterioso. Chiedo di essere liberato da ogni settarismo e da ogni visione angusta che uccide la magnanimità intesa come anima grande.

 

Preghiera Donami, Signore, l’umiltà di servire senza far pesare il mio ruolo e senza attaccarmi ad esso. Donami la libertà di vedere, di riconoscere, di contemplare la tua opera nella creazione, nella redenzione, nella vita della chiesa e del mondo, come grazia che mi viene incontro da più parti e mi salva» [ARTURO AIELLO, Magnanimità, in Messa Meditazione 18 (2018) maggio pp. 193-194].

 

Mi permetto di fare due precisazioni. 

Emerge chiaramente che il Vescovo di Avellino è stato parroco per molti anni. È evidente che si basa su esperienze concrete!

Metto in guardia me e voi da una terribile tentazione: pensare a coloro che cadono in certi errori, escludendo accuratamente noi stessi. Il rischio di fare l’esame di coscienza …per gli altri è quanto mai duro a morire.