Ieri e oggi, insieme con tante persone ho avuto l’immenso dono di ricordare il XXV anniversario della fondazione del seminario. Il 4 settembre 1999 venne a benedirlo san Giovanni Paolo II (di cui oggi ricorre la Memoria). Abbiamo avuto la stupenda occasione per riflettere sul magistero di papa Wojtyla e naturalmente anche e soprattutto sul dono del sacerdozio.
Stasera vi spedisco parte del paragrafo con cui egli concluse l’enciclica dedicata allo Spirito Santo. Si tratta di una breve riflessione sull’opera dello Terza Persona della Santissima Trinità, basandosi sulla Sequenza di Pentecoste. Dà moltissimi spunti per riflettere, per pregare, per vivere santamente.
È urgente e bellissimo meditare sull’opera trasformante dello Spirito Santo. Ciò che conta è permetterGli di entrare nella nostra intimità. Così Egli potrà consolarci, guarirci, trasformarci, donarci pace e speranza.
Ecco il testo del Papa.
Lo Spirito Santo, nel suo misterioso legame di divina comunione col Redentore dell’uomo, è il realizzatore della continuità della sua opera: egli prende da Cristo e trasmette a tutti, entrando incessantemente nella storia del mondo attraverso il cuore dell’uomo.
Qui egli diventa – come proclama la Sequenza liturgica della solennità di Pentecoste – vero «padre dei poveri, datore dei doni luce dei cuori»; diventa «dolce ospite dell’anima», che la Chiesa saluta incessantemente sulla soglia dell’intimità di ogni uomo. Egli, infatti, porta «riposo e riparo» in mezzo alle fatiche, al lavoro delle braccia e delle menti umane; porta «riposo» e «sollievo» in mezzo alla calura del giorno, in mezzo alle inquietudini, alle lotte e ai pericoli di ogni epoca; porta, infine, la «consolazione», quando il cuore umano piange ed è tentato dalla disperazione. Per questo, la stessa Sequenza esclama: «Senza la tua forza nulla è nell’uomo, nulla è senza colpa». Solo lo Spirito Santo, infatti, «convince del peccato», del male, allo scopo di instaurare il bene nell’uomo e nel mondo umano: per «rinnovare la faccia della terra». Perciò, egli opera la purificazione da tutto ciò che «deturpa» l’uomo, da «ciò che è sordido»; cura le ferite anche più profonde dell’umana esistenza; cambia l’interiore aridità delle anime, trasformandole in fertili campi di grazia e di santità. Quello che è «rigido – lo piega», quello che è «gelido – lo riscalda», quello che è «sviato – lo raddrizza» lungo le vie della salvezza (S. GIOVANNI PAOLO II, Dominum et vivificantem, 18-5-1986, n. 67).