Pensiero serale del 28-03-2024

Oggi è bene ovviamente meditare sull’Eucaristia, ma ritengo molto importante cercare di intendere questo Sacramento all’interno del mistero pasquale, cioè in stretto collegamento con la sofferenza, la morte e la risurrezione di Gesù, cercando di cogliere come tutto questo incide nella nostra vita.
Poco più di un mese fa padre Cantalamessa ha donato una riflessione su Gesù come pane di vita basandosi su Gv 6, 30-35, ma partendo da Mt 16, 13-16, l’episodio in cui Gesù rivolge una domanda decisiva ai discepoli “Ma voi, chi dite che io sia?”.
Stasera vi do solo alcuni brani della meditazione di Cantalamessa. Non sono riflessioni molto facili, ma a me sono sembrate preziose e importanti per la crescita spirituale
Ecco le parole del teologo cappuccino:

«Prendiamo quella domanda come va presa ogni parola uscita dalla bocca di Gesù, e cioè come rivolta, hic et nunc, a chi l’ascolta, singolarmente, personalmente. Per realizzare questo esame, ci faremo aiutare dall’evangelista Giovanni. Nel suo Vangelo troviamo tutta una serie di dichiarazioni di Gesù, i famosi, “Ego eimi”, “Io Sono”, con i quali egli rivela cosa pensa, lui, di se stesso, chi dice, lui, di essere: “Io sono il pane della vita”, “Io sono la luce del mondo”, e così via. Passeremo in rassegna cinque di queste auto-rivelazioni e ci domanderemo ogni volta se egli è davvero per noi quello che lui dice di essere e come fare perché lo sia sempre di più.
Sarà un momento da vivere in modo particolare. Non, cioè, con lo sguardo rivolto all’esterno, ai problemi del mondo e della stessa Chiesa, come si è costretti a fare in altri contesti, ma con uno sguardo introspettivo. Un momento, allora, intimistico e distaccato e perciò, tutto sommato, egoistico? Tutt’altro! È un evangelizzarci per evangelizzare, un riempirci di Gesù per parlarne “per ridondanza d’amore”» (RANIERO CANTALAMESSA, “Io sono il pane della vita” Prima predica di Quaresima, 23 febbraio 2024).

Padre Cantalamessa anzitutto sottolinea l’importanza della duplice mensa: la Parola e l’Eucaristia. Così il cristiano davvero si nutre di Gesù pane. Basti pensare a Mt 4, 4. A questo punto egli ci dona una riflessione che non può non coinvolgerci profondamente.

Esorta a non «limitare il mangiare la carne e bere il sangue di Cristo alla sola Parola e al solo sacramento dell’Eucaristia, ma nel vederlo attuato in ogni momento e aspetto della nostra vita di grazia. Quando san Paolo scrive: “Per me vivere è Cristo” (Fil 1,21), non pensa a un momento particolare. Per lui, Cristo è davvero, in tutti i modi della sua presenza, pane della vita; lo si “mangia” con la fede, la speranza e la carità, nella preghiera e in tutto. L’essere umano è creato per la gioia e non può vivere senza gioia, o senza la speranza di essa. La gioia è il pane del cuore. E anche la vera gioia l’Apostolo la cerca – ed esorta i suoi a cercarla – nel Signore Gesù Cristo: “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti” (Fil 4,4).
Gesù è pane di vita eterna non solo per quello che dà, ma anche – e prima di tutto – per quello che è. La Parola e il Sacramento sono i mezzi; vivere di lui e in lui è il fine: “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me” (Gv 6,57). Nell’inno “Adoro te devote” che ha alimentato per secoli la pietà e l’adorazione eucaristica dei cattolici, c’è una strofa che è una parafrasi di questa parola di Gesù. Ecco il testo in italiano: “O memoriale della morte del Signore Pane vivo che dà vita al mondo, fa’ che di te io viva e gusti la dolcezza che da te deriva”. Tutto il discorso di Gesù tende, dunque, a chiarire che vita è quella che egli dà: non vita della carne, ma vita dello Spirito, la vita eterna.
Ci poniamo una semplice domanda: Come è diventato, lui, Gesù, pane di vita per noi? La risposta ce l’ha data lui stesso e proprio nel Vangelo di Giovanni: “In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). Sappiamo bene a che cosa alludono le immagini di cadere in terra e marcire. Tutta la storia della Passione è racchiusa in esse. Dobbiamo cercare di vedere cosa quelle immagini significano per noi. Gesù infatti con l’immagine sul chicco di grano non indica soltanto il suo destino personale, ma quello di ogni suo vero discepolo.
Non si può ascoltare la parola indirizzata dal vescovo Ignazio di Antiochia alla Chiesa di Roma senza commuoversi e senza rimanere stupiti, vedendo che cosa è capace di fare, di una creatura umana, la grazia di Cristo:
“Lasciate che sia pasto delle belve per mezzo delle quali io possa raggiungere Dio. Sono frumento di Dio e [devo essere] macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo. … Pregate il Signore per me perché con loro mezzo diventi vittima per Dio. Non vi comando come [facevano Pietro e Paolo]: essi erano apostoli, io un condannato”.
Prima dei denti delle fiere, il vescovo Ignazio ha sperimentato altri denti che lo trituravano, non denti di fiere, ma di uomini: “Dalla Siria sino a Roma –scrive – combatto con le fiere, per terra e per mare, di notte e di giorno, legato a dieci leopardi, il manipolo dei soldati che da me beneficati diventano peggiori”. Questo ha qualcosa da dire anche a noi. Ognuno di noi ha, nel suo ambiente, di questi denti di fiere che lo macinano. Sant’Agostino diceva che noi esseri umani siamo “vasi di creta, che si feriscono l’uno con l’altro”: Dobbiamo imparare a fare di questa situazione un mezzo di santificazione e non di indurimento del cuore, di astio e di lamentela!» (RANIERO CANTALAMESSA, “Io sono il pane della vita” Prima predica di Quaresima, 23 febbraio 2024).

Io credo che ognuno di noi, forse non tutti i giorni, ma almeno in alcune circostanze, fa l’esperienza di imbattersi in denti che lo triturano, che lo macinano. Possiamo reagire con la disperazione, con lo scoraggiamento o addirittura con l’odio, col desiderio di vendetta, magari pensando che Dio si sia dimenticato di noi. Invece, dovremmo chiederci: Gesù come ha reagito? I santi cosa hanno fatto? Andare a Messa è un pio gesto che compio per abitudine, per obbedire a un arido precetto o significa immergermi nel mistero pasquale e da lì trarre forza per realizzarmi davvero, però morendo a me stesso con Lui, per risorgere con Lui, in una dimensione di amore che è esattamente agli antipodi di un certo tipo di amore inteso in senso puramente mondano? Così e solo così capiremo il “vero” insegnamento della Chiesa su temi etici come il perdono, il divorzio, l’omosessualità e la morale sessuale nella sua integralità.