Le letture della s. Messa di oggi sono un’esaltazione della speranza. Non dimentichiamo che al passo delle Lettera agli Ebrei (I lettura di oggi: Eb 10,32-39) papa Benedetto ha dedicato i §§ 8-9 della “Spe Salvi”, l’enciclica sulla speranza che dovrebbe essere al centro di questo anno giubilare. La speranza ci aiuta a capire meglio anche il brano del Vangelo (Mc 4,26-34). Siamo esortati ad avere immensa fiducia nell’opera di Dio. In tal senso è davvero illuminante il commento che vi spedisco stasera.
«Gesù oggi ci dà un insegnamento di fede e di umiltà, facendoci vedere che la crescita spirituale non dipende da noi, ma dalla parola di Dio, che è stata seminato in noi e che, come dice Giacomo, “può salvare la nostra vita” (Gc 1,21).
Noi siamo preoccupati del nostro progresso, e spesso lo siamo in modo troppo naturale, come se tutto dipendesse da noi, dalla nostra buona volontà e dai nostri sforzi, e ci sbagliamo. Ci comportiamo come un contadino che, dopo aver seminato, volesse far crescere subito le piante tirandole verso l’alto. Questa non è certo una buona operazione!
Gesù invece ci insegna l’abbandono fiducioso in Dio. Noi dobbiamo accogliere il seme, cioè la parola di Dio, come fa la terra. Come il seme, anche la parola di Dio cresce, e noi non sappiamo neppure in che modo. Dopo che il seme è stato gettato, subito la terra lo ricopre, tanto che il seme non si distingue più da essa. Ma il seme contiene una forza vitale straordinaria, e occorre lasciarlo agire. Esso cresce spontaneamente, e chi lo ha seminato può dormire o vegliare: la crescita non dipende da lui, che può soltanto aspettare con fiducia di vedere “prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga”.
Anche Paolo, scrivendo ai Corinzi, esprime questo stesso concetto: «Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere» (1 Cor 3,6).
San Francesco di Sales era decisamente contrario a quello che chiamava l’ “empressement”, cioè la fretta di vedere i risultati in ogni campo in cui si opera, anche nel campo spirituale. Egli lavorava molto, ma insegnava che bisogna fare tutto pacatamente: agire pacatamente, pregare pacatamente, perfino soffrire e lottare pacatamente.
Se ci appoggiamo al Signore, constatiamo che davvero egli fa crescere tutto, talvolta in modo più lento di quanto noi vorremmo, altre volte in modo più bello e anche più rapido di quello che ci aspettavamo. Non siamo noi che possediamo lo strumento per misurare la crescita delle cose, e neppure la nostra crescita. Quando seminiamo, dobbiamo avere fiducia e anche pazienza: il resto, la capacità di far crescere è di Dio» (VANHOYE ALBERT, Il pane quotidiano della Parola, volume II – Tempo ordinario/1, Edizioni AdP, Roma 2015, pp. 65-66).
Tutto questo non deve farci dimenticare il grande rischio che la nostra vita possa essere sterile. Meditando queste pagine, non ho potuto non pensare a due passi davvero drammatici, che devono comunque farci riflettere sul mistero della libertà dell’uomo. Dio ci ama, il suo Amore è onnipotente, ma io sono comunque e sempre chiamato a collaborare. Resta pur sempre il mistero del dramma della chiusura del cuore dell’uomo. Prego perché ognuno (cominciando da me) faccia un forte e sereno esame di coscienza anche in base a Is 5, 1-7 e Mt 21,18-22 (testo parallelo Mc 11,12-14.20-24).
Infine, voglio sottolineare che la pacatezza, cui ci esorta il cardinale Vanhoye, ha un ruolo decisivo nell’impegno educativo; e oggi ricordiamo il grande maestro che è san Giovanni Bosco!